ADDIO A GIUSEPPE BENSO MAESTRO DI RESTAURO

 

Cari amici purtroppo Giuseppe Benso a 84 anni ci ha lasciati per sempre: questa è la cattiva notizia con la quale devo riaprire questo mio sito, il funerale si è svolto ieri, nella chiesa di Vinovo a pochi passi dalla sua bottega dove tante ore ha trascorso con le mani nei motori.

Nelle sue mani è passata la storia della Bultaco in Italia e il suo nome resterà per sempre legato a questa gloriosa marca.

Una Storia Americana > IL FLAT-TRACK

Se si prova ad indagare la storia del motociclismo in America ci si rende subito conto del differente concetto che hanno oltreoceano delle competizioni motoristiche; questa differenza si è creata ed evoluta negli anni e rispecchia la diverse mentalità degli appassionati di due continenti così distanti e diversi tra di loro nelle tradizioni e nella storia.
In effetti fino agli anni ‘70, quando Kenny Roberts se ne venne a correre ed a vincere in Europa (‘78), di quello che succedeva oltreoceano ci si interessava poco; d’altronde i media erano quelli che erano e la mancanza di grossi interessi pubblicitari a livello mondiale contribuiva a mantenere gli SS.UU nel loro isolazionismo.
Il motociclista americano per i più era quello interpretato da Marlon Brando nel film “Il Selvaggio”, in seguito ripreso in veste caricaturale dal grande Albertone in “Un Americano a Roma”, ma dietro questi stereotipi diffusi attraverso il cinematografo esistevano veri campioni che calcavano le piste d’America in lungo e in largo per vivere seguendo la propria passione l’epopea del flat-track.
Fin dal nascere dello sport motociclistico l’America e l’Europa avevano seguito strade differenti: non fu l’Europa che si sviluppò maggiormente, né tanto meno l’America, semplicemente il concetto di competizione motociclistica si evolse in modi diversi, ognuno era all’avanguardia …a casa sua.
Le difficoltà di comunicazione erano tali da far nascere due mondi paralleli, simili, ma non uguali; fu così che l’America seguì per anni una sua strada, riluttante ad assoggettarsi alla Federazione Mondiale che era nata in Europa e che per questo nella pratica non era affatto considerata “mondiale”. L’America di quegli anni seguiva e riconosceva unicamente la AMA (American Motorcycles Association) che fu la prima associazione sportiva ad occuparsi seriamente di regolamentare lo sport motociclistico in America.
Questo negli SS.UU. si sviluppò in maniera autonoma fino alla metà degli anni ‘70, quando i piloti americani poco conoscevano del motociclismo Europeo, e pur sapendo che si andava in differenti direzioni, dimostrarono scarso interesse nel cercare di rimediare.
Ora i piloti americani cercano di acquisire punti nelle competizioni mondiali; la divisione tra l’America ed il resto del mondo è stata in buona parte annullata, la FIM (Fédération Internationale Motocycliste) è da tutti riconosciuta, ma nonostante questa tendenza la mentalità isolazionista americana si ostina nel considerare come massima espressione di competizione motociclistica quella che si svolge sulle piste in terra battuta: il flat-track, per l’appunto.
Questo sport è strettamente americano nel carattere: degli Americani riflette la differente mentalità, la differente cultura e le differenti tradizioni. Possiamo dire che Europei ed Americani abbiano imparato a convivere accettando le diversità, ma nessuno ha la minima intenzione di rinunciare alle proprie tradizioni, la storia scritta dalle imprese di tanti grandi piloti merita troppo rispetto ed è doveroso riportarla ai giovani appassionati di oggi.
Ma cominciamo la storia dall’inizio:
Negli anni 20, quando il livello tecnico e il grado di affidabilità dei mezzi meccanici arrivò ad offrire sufficienti garanzie, gli appassionati cominciarono ad aver voglia di confrontarsi. Questo portò alla nascita delle prime competizioni, ma la mancanza di piste attrezzate in un paese grande come l’America fece sì che gli organizzatori inizialmente le realizzassero addirittura in legno (board-track), come i velodromi, in questo modo ottennero un ottimo successo e una larga partecipazione di pubblico. Questi impianti comportavano però un grande impegno di capitali e fu per contenere i costi che alla fine degli anni 20 si iniziò ad utilizzare le piste in terra battuta degli ippodromi. Questi erano percorsi in terra battuta piatti (flat-track) di forma ovale e normalmente avevano la lunghezza di ½ miglio o di un miglio. Col fatto che esistevano in tutte le città questi impianti consentirono la diffusione pressoché capillare di questo sport.
A prima vista le competizioni di flat-track e quelle di speedway possono sembrare molto simili, il fatto che entrambe le specialità si pratichino su piste ovali con fondo in terra battuta può portare ad identificarle in un’unica specialità, ma basta vedere come sono le moto e seguire una gara per apprezzarne le differenze:
Nel flat-track si usano moto di serie adattate all’uso con modifiche che rispettano l’originalità del mezzo, vi è grande partecipazione da parte di squadre di marca che fanno molto affidamento sul potenziale pubblicitario, le gare si svolgono su venti o più giri della pista: nello speedway invece le moto sono estremamente evolute specificamente per questo tipo di competizioni che si svolgono in numerose brevi manches.
Mentre in Europa si andavano diffondendo le corse su strada, .gli americani avevano scelto di sviluppare gli sport motoristici negli ippodromi adeguando moto e regolamenti agli impianti esistenti..
Il flat-track divenne popolarissimo, i piloti arrivavano alla pista sulle loro moto, partecipavano alla gara e quando tutto andava bene,…se ne tornavano a casa.
Se erano bravi e fortunati potevano vincere un manubrio o una gomma nuova, e se proprio era la loro grande giornata potevano anche portarsi a casa qualche dollaro di premio.
Sicuramente non erano ancora tempi nei quali si potesse pensare di vivere del ricavato di queste vittorie!
Tanti lo facevano semplicemente perchè era bello farlo, spesso era tanto bello che si rischiava la vita senza rendersene conto: il concetto di sicurezza in pista era considerato filosofia da signorine.
Negli anni ’30 lo speedway aveva raggiunto una considerevole popolarità tanto che nel ’37 il californiano Jack Milne di Pasadena vinceva il Campionato del Mondo battendo i fortissimi piloti europei, ma nonostante questo il flat-track stava diventando lo sport preminente sugli ovali d’America.
Lo scoppio della 2° Guerra Mondiale fermò per cinque anni ogni tipo di competizione, e quando furono riposte le armi il flat-track divenne immediatamente la valvola di sfogo per tanti appassionati che in quegli anni avevano dovuto reprimere le proprie voglie, a differenza dello speedway che si rivide sulle piste solo negli anni ’70.
Il parco piloti si andava ricostituendo, Joe Petrali di Milwaukee sulla Hearly Davidson ufficiale era praticamente imbattibile sia nel flat-track che nelle gare di hill-climbing che si erano pure diffuse dagli anni’30. Nel primo dopoguerra un gran numero di giovani sconosciuti si allinearono sulla linea di partenza, mentre pochi dei vecchi nomi restarono in attività, ma gli organizzatori non erano assoggettati ad alcun ente e non esisteva uno straccio di regolamento ufficiale, quindi i piloti non si sentivano minimamente tutelati e furono molti quelli che preferirono abbandonare per dedicarsi ad altri sport probabilmente meno appaganti, sicuramente meno pericolosi.
Non esisteva un regolamento unico e poiché molte gare erano organizzate dai concessionari di Harley e Indian divenne molto difficile vincere in campo avversario.
Storie di gare continuate ad oltranza per offrire al pilota locale tutte le possibili opportunità per poter vincere erano accettate come fossero cosa normale. Un pilota Indian poteva occasionalmente vincere su un tracciato “Harley” e vice versa, ma questo non era molto conveniente per l’organizzazione in quanto gli spettatori partecipavano molto accanitamente e non amavano vedere i propri beniamini perdere. La competizione veniva seguita con grande animosità dagli spettatori che volevano vedere i piloti lottare fino all’ultimo metro.
Sicuramente questo tifo contribuiva ad aumentare la spettacolarità delle gare, ma contemporaneamente ne faceva aumentare la pericolosità.
Ci fu un periodo di stasi durante il quale si perfezionarono i regolamenti e si cominciò a pensare anche alla sicurezza. La “American Motorcycle Association” fin dalla sua nascita nel 1924 aveva tentato di realizzare una normativa unica , ma solo dopo la 2° Guerra Mondiale si ebbero i primi veri risultati. Con il riprendere delle competizioni fu istituito il Campionato Nazionale di flat-track che negli anni dal 1946 al 1953 veniva disputato in una singola gara. Questa si svolgeva sull’ovale di Springfield nell’Illinois che divenne in questo modo il massimo centro di attrazione per gli appassionati. Così come 30000 spettatori si accalcavano intorno alle strutture fatiscenti del vecchio ippodromo spinti dalla grande passione e dalla voglia di esserci, con lo stesso spirito i piloti combattevano ruota a ruota per conquistare l’onore di portare il numero “1” sulla propria moto.
25 giri della pista lunga un miglio percorsi alla massima velocità e senza un attimo di respiro decidevano indiscutibilmente chi era il nuovo campione, in questo modo Springfield è entrata nella storia e poiché con il passare del tempo ogni impresa viene enfatizzata questa storia ha finito per confondersi con la leggenda.
Chet Dykgraff inaugurò l’albo d’oro vincendo nel 1946 guidando una Norton.
La risposta della Harley non si fece attendere: Jimmy Chann vinse nei tre anni successivi.
Nel 1950 la supremazia della Harley continuò con Larry Headrick , quindi Bobby Hill che vinse nel 1951 e nel 1952.
L’anno seguente fu Bill Tuman, un pilota dell’Illinois che con la sua Indian seppe entusiasmare Springfield vincendo l’ultima edizione del Campionato Nazionale che si sia disputata in prova unica. Dall’anno successivo il Campionato si sarebbe disputato su una serie di gare.
Nasceva infatti l’ “A.M.A.Grand National Champions”, e questo segnava l’inizio di un lungo periodo di supremazia da parte della Harley Davidson.
Il primo a fregiarsi del titolo di Campione Nazionale Assoluto AMA fu un grandissimo pilota che più tardi avrebbe continuato a collezionare vittorie con le auto: stiamo parlando di Joe Leonard soprannominato “Smokey”
Joe conquistò il titolo nel 1954, nel ’56 e nel ’57 vincendo 27 gare nazionali, secondo solo al grande Bart Markel: oltre ad essere veloce egli dimostrò una grande versatilità, dote indispensabile perchè le gare per conquistare il titolo si svolgevano ora su differenti tipi di tracciati e con differenti motociclette.
La serie di gare comprendeva cinque tipi di competizioni:
il primo tipo era rappresentato dalle classiche gara su strada asfaltata, dove i piloti usavano moto carenate.
Gli altri quattro tipi di gare si svolgevano sulle piste con fondo in terra battuta, più esattamente erano le gare su ovale da mezzo miglio e da un miglio, lo short track su piste da ¼ di miglio e il più particolare di tutti: lo Steeplechase TT.
Per lo short track, (che fu introdotto nel ’61) la cubatura massima ammessa dei motori fu fissata in 250cc. Gli altri tipi di competizione erano aperti in origine a due classi: 45 ed 80 pollici cubici(732 e 1312 cc), ma presto fu stabilito un limite comune di 750cc. Come nello speedway le moto non potevano avere freni, tuttavia negli anni sessanta l’incremento delle velocità fece sì che venisse ammesso il freno posteriore. L’uso dei freni era invece consentito nelle gare TT su strada sterrata.
Sulle piste di un miglio si raggiungevano velocità di quasi 200 km/h ,davvero pericolose, le misure di sicurezza erano migliorate negli ultimi anni, ma durante i primi anni del flat-track, questo sport fu il dominio di uomini senza paura che ignoravano il dolore e escludevano dai loro pensieri. le potenziali conseguenze che un incidente avrebbe potuto loro causare. ?
Molti furono i piloti che approdarono ai massimi livelli, ma pochi arrivarono alla pensione, uno di questi fu Bart Markel, un giovane che arrivò al top nel 1961, quando Joe Leonard era alla fine della sua carriera motociclistica raccogliendone l’eredità.
Mentre Leonard iniziava una nuova carriera che lo avrebbe portato a vincere per più volte il Campionato di Formula Indy, Merkel vinceva il Campionato AMA.
La sua prima vittoria valida per il Campionato Nazionale avvenne a Peoria nell’Illinois in una gara di formula TT nella quale seppe prevalere in maniera netta dimostrando una incredibile padronanza del mezzo: Bart sarebbe rimasto ai massimi livelli per un decennio.
Vinse il Campionato nel 1962,’65 e ’66, collezionando 28 vittorie in gare di Campionato dal 1960 al 1971 e nessuno riuscì ad eguagliarlo.
Per molti versi Bart Markel fu lo stereotipo del pilota Americano: era piccolo e scontroso, estremamente coraggioso e molto, molto veloce. A 40 anni si ritirò dalle competizioni nazionali, ma ha continuato a gareggiare nello short-track e sul ghiaccio facendosi sempre rispettare dai piloti più giovani.
Un altro grande pilota, Gary Nixon dell’Oklahoma, fu anche un ottimo preparatore iniziando a seguire le gare da ragazzo. Spinto da una passione incredibile partecipava alle gare come poteva, spesso con moto raffazzonate, cadendo spesso, dormendo sul furgone e rinunciando a mangiare pur di poter comprare i ricambi indispensabili per gareggiare. Anche per lui arrivò il giorno della vittoria, e da allora continuò a vincere con la sua Triumph conquistando il campionato nel ‘67 e nel ‘68 . Una serie di brutti incidenti gli fecero abbandonare il flat-track, ma nonostante i tanti patimenti subiti che avrebbero spinto chiunque altro al ritiro, Gary Nixon continuò a gareggiare in circuito.
Del suo stesso stampo era fatto Dick Mann, un incredibile personaggio della California, ritenuto a ragione il più versatile dei piloti americani, seppe fare di tutto e seppe farlo molto bene, spesso senza l’aiuto finanziario delle case costruttrici. Egli non volle correre mai con le Harley Davidson, pur essendo queste le più veloci: semplicemente pensava che sarebbe stato troppo facile. Invece seppe conquistare il Campionato Nazionale nel 1963 e 1971 correndo su moto che nessun’altro pilota avrebbe accettato di guidare. Vinse molte gare con la Matchless, e fu anche il primo a vincere delle gare nazionali con la Yamaha e la Ossa. Prima di ritirarsi nel’74 vinse 24 gare Nazionali , negli anni successivi si dedicò al motocross ed al trial partecipando nel ’75 all’Interational Six Days Trial all’isola di Man nella rapprentativa americana .
Dominatore verso la fine degli anni ’50 ed il principio degli anni’60 fu Carrol Resweber, che vinse quattro titoli nazionali: egli portò per anni il numero “1” sulla sua Harley Davidson, vincendo il suo ultimo titolo nel 1961, era a buon punto per la conquista di un nuovo titolo nel’62, quando un grave incidente lo costrinse ad abbandonare le competizioni.
Altri grandi piloti come Mert Lawill (’69)e Gene Romero(’70) portarono con onore il numero uno fino al ’72. In quell’anno vinse Mark Brelsdorf della Harley Davidson, ma l’attenzione era focalizzata su due personaggi nuovi provenienti dalla California: Kenny Roberts e Gary Scott. I due erano cresciuti assieme sfidandosi in gara per due anni nelle categorie inferiori, erano arrivati sui circuiti nazionali nel’72 e si sarebbero contesi il Campionato nei tre anni successivi. Erano entrambi ottimi piloti, ma lo stile di Kenny era più spettacolare: vederlo guidare era una esperienza che si viveva con il cuore in gola perchè in ogni istante dava la netta sensazione di essere sul punto di perdere il controllo, tuttavia non mollava e mai ebbe infortuni seri.
Spingere la guida all’estremo limite nel flat-track è molto pericoloso, il più delle volte questo comportamento prelude a veri e propri disastri, ma non era così per Kenny, ed il motivo stava semplicemente nel fatto che Lui era talmente superiore agli altri che sembrava poter sfidare le leggi della fisica.
Quando Roberts annunciò di voler abbandonare il flat-track per correre il Campionato Mondiale di Velocità nel 1978 gli appassionati americani restarono folgorati, molti dichiararono senza mezzi termini che senza Roberts le gare non avrebbero più interessato nessuno.
Logicamente tutto tornò nella norma, tuttavia per molto tempo la mancanza della Yamaha gialla e nera sulla linea di partenza a contrastare le Harley fu accettata non senza destare rimpianti.
Intanto si era cominciato ad apprezzare un pilota del Michigan: Jay Springsteen che nel 1975 aveva ottenuto il terzo posto dietro a Gary Scott ed a Kenny Roberts . L’anno successivo fu ingaggiato dalla Harley Davidson a subito si aggiudicò il campionato. Con Roberts in Europa , Scott e il giovane Ted Boody del Michigan con le Harley parvero essere i soli in grado di contrastare Springsteen.. La volontà di Kenny Roberts di affermarsi anche sulle piste europee dopo aver ottenuto il numero “1” in America rappresentò un messaggio forte e coraggioso nei confronti degli appassionati legati alle tradizioni e restii a cambiare le proprie abitudini, molti di questi infatti, pur continuando a seguire il circuito del Grand National AMA, cominciarono ad entusiasmarsi per le imprese che lui andava compiendo in Europa.
La storia del flat-track continuò e nuovi nomi vennero alla ribalta, le moto divennero sempre più sofisticate e performanti, le gare sempre spettacolari, ma è inutile cercare oggi nel nostro mondo così tecnologico lo spirito di quei tempi: i volti di quegli uomini sono scolpiti nella Hall of Fame e le loro storie possono essere apprezzate solo da chi sia pronto a credere che fosse tutto vero, ma proprio tutto, tanto è sottile il confine che le separa dalla leggenda.
Emilio Carra
P.S.
Qualche informazione in più può aiutare a meglio individuare le differenze tra le varie specialità motociclistiche praticate negli Stati Uniti:
> Lo SHORT-TRACK (pista corta)che si svolge su piste ovali da 1/4 o 1/2 miglio da percorrere in senso antiorario con moto da 250cc di cilindrata che non possono montare il freno anteriore.
> Si definisce FLAT-TRACK (pista piatta) la pista che viene normalmente ricavata da un ippodromo e che può essere da 1/2 miglio e da 1 Miglio. Le moto hanno una cilindrata max di 750cc e non possono montare il freno anteriore.
Si percorre la pista sempre ed esclusivamente in senso antiorario, pertanto i comandi a pedale vengono posizionati sul lato destro. Normalmente la moto viene messa in moto a spinta. Il pilota calza una protezione in acciaio sul piede sinistro
> Le gare TT-STEEPLECHASE (corsa ad ostacoli) si svolgono su tracciati in terra battuta piuttosto piatti incrociati a forma di 8 con un ponte e relativo salto le curve pertanto sono su entrambi i lati. Le moto hanno una cilindrata max di 750cc e possono montare entrambi i freni.
> Per DIRT-TRACK (pista sporca, inteso come fangosa) si indica la guida in fuoristrada in genere (in un certo senso anche le altre specialità sopradescritte ne fanno parte) , ma con esso si intendono piuttosto motocross, enduro e trial. Oggi in America esiste il “Campionato Motocross” disputato sulle piste naturali ed il “Campionato Supercross” che si svolge su piste artificiali negli stadi.
Altre specialità che vengono praticate normalmente:
> ROAD RACES sono le gare su strada asfaltata ( supermoto) e su pista (superbike, etc…)
> HILL-CLIMB: le gare che si svolgono su pendii ”impossibili” dove i piloti si cimentano a bordo di mezzi opportunamente modificati sfidandosi a chi riesce ad arrivare più in alto.
> DRAGSTER: specialità tipicamente americana è organizzata in gare di accelerazione su piste rettilinee di ¼ ed 1/8 di miglio, nelle quali i piloti duellano in un susseguirsi di sfide ad eliminazione diretta.
> SPEED-RECORD: gran parte degli appassionati si impegnano l’intero anno per ritrovarsi a Bonneville sul Lago Salato con il loro mezzo per superare il più delle volte … il proprio record precedente.
Ma ci sono anche squadre create da istituti di ricerca a livello mondiale che in questo luogo, oramai considerato sacro, non perdono occasione per spostare un po’ più in avanti il limite del possibile, utilizzando veicoli mostruosamente potenti.
On any Sunaday è un film documentario realizzato da Bruce Brown agli inizi degli anni settanta e documenta in maniera inequivocabile lo spirito con il quale i piloti americani vissero la loro passione per la moto, analizzate il contenuto del filmato e ditemi quanti di voi non avrebbero voluto esserci.

OSSA 250 DMR Short Track

N.B.: difficilmente troverete notizie di questo modello nei siti Ossa spagnoli, perchè esso nacque e fu prodotto in circa 150 pezzi dalla Yankee negli Stati Uniti dove nei primi anni’70 ottenne un gran numero di vittorie, fu poi evoluto nel modello ST1 del quale parleremo a suo tempo (per ora sono ancora all’inizio del restauro di una di queste moto)
Ossa DMR su telaio Yankee-Champion con motore a 5 marce 1970 (una delle 150 realizzate)
Nel 1969 l’importazione delle motociclette OSSA negli Stati Uniti da parte della Yankee Motors di Schenectady N.Y. era avviata da poco e il grande Dick Mann era alla ricerca di una moto competitiva che gli consentisse di partecipare alle gare su pista corta del Grand National Championship A.M.A. nella categoria C (250cc) . (su questo sito puoi trovare “UNA STORIA AMERICANA” dove racconto come interpretarono il motociclismo sportivo negli States). La Ossa aveva sul mercato i modelli Scrambler, Trial , Enduro e Wildfire che montavano il motore di 230cc che era apprezzatissimo per le già ottime prestazioni. Mann, come era sua consuetudine, decise di intervenire in prima persona e partendo da queste basi, allestì la sua moto da gara

.

Dick nelle prime gare il primo prototipo DMR
All’inizio si trattava del telaio da cross (scrambler) con leggere modifiche indirizzate per lo più ad eliminare parti non necessarie all’uso specifico ( freni, cavalletto, messa in moto, etc.) e a modificare la posizione di guida, le foto che abbiamo trovato ci mostrano un mezzo apparentemente raffazzonato, ma evidentemente a Dick nella fase di collaudo interessava più la sostanza che la forma; di queste moto con motore a 4 marce ne furono prodotte pochissime, nel frattempo la Ossa metteva sul mercato il modello Scrambler TT a 5 marce che rappresentava una ottima base per realizzare una short-track utilizzando i componenti offerti dalla Yankee.
arrivano subito i successi
Intanto Mann aveva allestito il nuovo telaio, con tubi più sottili e di diametro maggiore in acciaio al Cromo Molibdeno che venne poi costruito sia per il motore a 4 marce che nel ’70 per quello a 5 ( gli attacchi al telaio nelle due versioni di motore sono tra di loro differenti). Con questo telaio debuttò vincendo nel ’69 al Santa Fè Short National terminando poi il campionato al secondo posto alle spalle di Mert Lawill. La moto nella sua configurazione finale dimostrò di essere una delle migliori flat-tracker della minima cilindrata: maneggevole, stabile e pronta nell’inserimento in curva, con un basso baricentro che la rendeva facile da controllare nella derapata, inoltre la potenza del motore era veramente eccezionale, con una erogazione fluida e progressiva fin dai bassi giri. Il telaio venne prodotto dalla Champion in innumerevoli versioni per poter accogliere ogni tipo di motore, ma rimase sostanzialmente sempre una replica di quello che Dick Mann aveva costruito e portato in gara a Santa Fè nel 1969.
Mann non era solo un appassionato pilota, ma anche un validissimo tecnico, e come tale era molto apprezzato dalle aziende che operavano nel settore motoristico che lo misero in condizione di utilizzare le più avanzate tecnologie per ricavarne potenze davvero incredibili. Questa versione del motore, come d’altronde il nuovo telaio, vennero prodotti e commercializzati con la sigla DMR ( Dick Mann Replica) e sono oggi ricercatissimi dai collezionisti. In tutto vennero realizzate circa 150 OSSA 250cc DMR, ma moltissime furono le Ossa che furono modificate ulizzandone i componenti. Nel 1970 Dick Mann conquistò per la seconda volta il Grand National Championship A.M.A.

VINCENZO BORGARELLO (CENSIN)

Eccovi rivelata l’identità del personaggio misterioso, ed ora vi racconto un po’ della Sua storia, così capirete il motivo che mi ha spinto ad indagare su di Lui. Se lo cercate su Wikipedia saprete che questo signore vinse tra l’altro tre tappe al Tour de France nel 1913 e seppe guadagnarsi il titolo di corridore ciclista più apprezzato d’Italia attraverso un referendum organizzato dalla Gazzetta dello Sport nel 1912.
Censin alla partenza di una Parigi-Roubaix
Conclusasi la carriera ciclistica, Vincenzo (detto Censin)pensò bene di mettersi subito all’opera per investire quel che aveva guadagnato, sicuramente non senza fatica ed impegno, e decise di contattare niente meno che la Harley Davidson, della quale divenne in breve importatore unico per l’Italia. Fu così che aprì un bel negozio con annessa officina in via Camerana a Torino.

foto storica del negozio di To, a sx V Borgarello – moglie – sulla moto Mr Harley e Mr Davidson – dietro ai vetri a destra Giovanni Bairo garzone d’officina

Il nostro personaggio portò avanti con passione questa attività per il resto della sua vita e non avendo avuto eredi lasciò il tutto nelle mani del nipote Giovanni Bairo che era entrato nell’azienda da ragazzino e ne era divenuto il gestore insieme alla moglie che pure era impiegata in ufficio.

Quando alla morte di Censin, avvenuta il 17 giugno 1960, la ditta Borgarello passò definitivamente nelle loro mani le vendite delle Harley Davidson si andavano riducendo, sempre più contrastate dalla concorrenza prima europea e in seguito giapponese che ogni anno più prepotentemente limitava il mercato dalle grosse bicilindriche. Fu senza dubbio questo uno dei motivi che spinsero i coniugi Bairo ad affiancare ad Harley Davidson e Bianchi, un nuovo marchio che producesse moto specifiche per il fuoristrada, onde poter entrare in questo nuovo settore emergente e crearsi una propria immagine in questo particolare ambiente.
Fu così che i coniugi Bairo si recarono in Spagna dove si incontrarono con i dirigenti della Orpheo Sincronic S.A. e ne scaturì il primo contratto esclusivo di importazione delle moto OSSA in Italia, contratto al quale la ditta BORGARELLO ha saputo restare fedele fino alla sua chiusura, avvenuta nel ’82.

Nell’estate dello stesso 1969 arrivò a Torino la prima fornitura di moto OSSA, per l’esattezza si trattava di due PENNINE da trial e di quattro ENDURO 230

certificato di importazione in Italia delle prime moto OSSA.

Così possiamo dire di sapere qualcosa di più di una storia che forse aspettava solo di essere scritta, la mia fortuna è stata quella di trovare ad un mercatino in mezzo a del materiale Ossa proveniente da un vecchio concessionario di Susa la fotografia datata 1947 di un uomo sorridente su una H.D. e di aver intuito che tra lui e la Ossa un legame ci doveva pur essere, così mi sono dato da fare fino a riuscire a contattare la nipote dei coniugi Bairo che con orgoglio mi ha confermato l’identità del personaggio consentendomi di ricostruire il succedersi di avvenimenti che interessano tutti gli appassionati di questo marchio.
Non posso non provare una forma di affetto e di riconoscenza verso quest’uomo creatore di una ditta che poi, con Giovanni Bairo e consorte, avrebbe fatto felici gli appassionati in 13 anni costellati di successi sportivi, e forse quel suo sorriso è di compiacimento per tutto questo………..
Come sempre la felicità non sta nel denaro, ma nel lavoro e nell’orgoglio per ciò che si è fatto……………….grazie a entrambi!

OSSA 350 M.A.R. ’75 monoscocca


Questa è una moto un po’ particolare, in effetti è in tutto e per tutto una 350 della prima serie alla quale ho modificato alcuni particolari per renderla più racing, in effetti meccanicamente è completamente originale, salvo il dispositivo a carrucola per dimezzare lo sforzo per il disinnesto della frizione


ed il silenziatore OLISALD, copia di quello utilizzato all’epoca dai piloti ufficiali.


La particolarità più evidente di questa moto sta nella monoscocca che unisce serbatoio, supporto sella e fiancatine.
La linea della moto è molto accattivante, sembra essere più piccola e maneggevole anche se in effetti le misure non sono cambiate: solo la sella è più compatta ed è più bassa di tre centimetri.

OSSA 350 MAR’76

Maurizio Calzetta di Teramo mi contattò lo scorso autunno: aveva letto del restauro che avevo eseguito per Mario Casati e ne era rimasto affascinato, voleva consigli circa l’acquisto di una moto, mi inviò delle foto di quello che aveva trovato sul web e alla fine decise di acquistare una Ossa 350 che era posta in vendita ad Avigliana vicino a Torino. Gli consigliai di farsi spedire i documenti con l’atto di vendita già registrato a suo nome sul certificato di proprietà e provvedere personalmente alla voltura al P.R.A. e gli detti un’idea di quella che poteva essere la spesa per il restauro. Maurizio è un tipo molto preciso, direi puntiglioso, mi resi subito conto che non sarebbe stato facilmente accontentabile…mille domande, mille telefonate….dalle quali traspariva una grande voglia di conoscere tutto il possibile di questa moto, oltretutto ha una buona base di competenze meccaniche e di voglia di apprendere che lo spingono ad approfondire ogni particolare….una bella sfida!
così si presentava la moto al ritiro, a parte il telaio verniciato in rosso, era abbastanza completa, anche se molte parti erano consumate dall’uso conservava ancora i suoi parafanghi originali che ora sono introvabili

La Ossa 350 M.A.R. fu immessa sul mercato nel 1975 nella sua prima versione, praticamente identica alla 250 mk2 dalla quale differiva unicamente per il gruppo termico e per la colorazione bianca con strisce rosse e verdi; con questa moto Giovanni Tosco si aggiudicò per la seconda e ultima volta il Campionato Italiano di Trial nel 1976, mentre con una moto della seconda serie (come quella di Maurizio) si classificò secondo nel 1977, dietro ad Ettore Baldini sulla Bultaco. Questo modello differiva dalla prima serie in molti particolari, che pur non modificando sostanzialmente il modello lo perfezionavano rendendolo più adatto all’uso agonistico: triangolo posteriore del telaio rinforzato, tubo di scarico allungato, carburatore Bing da 28mm, parafanghi in plastica indistruttibile (così erano pubblicizzati) , manubrio in acciaio speciale, sospensioni completamente modificate e con maggior escursione: ammortizzatori posteriori a gas inclinati a 45° e forcella Betor allungata di 25mm. Questo modello si comportò egregiamente in competizione con un unico non trascurabile difetto: tendeva facilmente a surriscaldarsi perdendo potenza ed allora bisognava aspettare che si raffreddasse, ma in gara non c’era tempo da perdere e allora appena si trovava una fontana si rimediava a secchiate d’acqua sul cilindro….
Le stesse modifiche furono apportate anche alla ciclistica della versione 250 cc .
per chi vuole approfondire vedere qui:
http://www.twnclub.ch/classic_trial_files/Ossa/Ossa1.htm

La mia vita è sempre stata un susseguirsi di sfide ed anche in questa occasione non ho voluto tirami indietro, anzi ho subito pensato che questo avrebbe potuto rappresentare per me un buon banco di prova.
Ho voluto andare io personalmente a ritirare la moto ad Avigliana e, verificato che il motore girava bene e non necessitava di una revisione completa, ho dato subito inizio allo smontaggio: alla fine ci sono voluti circa quattro mesi e una volta terminato il lavoro ho convinto Maurizio a venirla a ritirare in occasione dell’OSSA DAY a Campo Canavese, in modo da conoscere più da vicino il mondo nel quale si era affacciato. Peccato per il tempo inclemente, avrei voluto fare un giro con lui, ma sarebbe tornato a casa bagnato fradicio e con la moto piena di fango e non mi sembrava il caso, vorrà dire che se avrò occasione di passare da Teramo, sarà lui a portarmi a fare un giro sul Gran Sasso,…….magari a cercar funghi.
Un collaudatore d’eccezione per la moto di Maurizio: Giovanni Tosco. Qui lo vediamo mentre sta testando la morbidezza della frizione con servocomando a carrucola e sta pensando: mannaggia, l’avessi avuta a Crodo nel 1977 , magari sarei riuscito a battere Baldini e a vincere il Campionato Italiano per la terza volta……
Inzoli seduto sullo sfondo gli sta dicendo: una frizione come questa Voi torinesi ve la potevate solo sognare…..
Se poi la mia sfida l’ho vinta lo lascio dire a lui, in ogni caso ho trovato un amico e senza dubbio questa per me è la cosa che vale di più, grazie a Maurizio per la fiducia che mi ha offerto prima di conoscermi e che ora spero di aver meritato.

LA PATANEGRA OSSA 350 Spl

Roberto Inzoli è un bravo ragazzo, vero appassionato del trial d’epoca, uno che le gare le fa per viverle, sì perché vincere o perdere quando c’è la passione e si ha qualche anno in più non ha poi molto senso, il bello è partecipare perchè la moto ci faccia vincere non tanto verso gli avversari quanto piuttosto verso i nostri limiti .
Intendiamoci, Roberto non è affatto un fermo, in moto ci sa andare e anche bene, ma non ha quella cattiveria agonistica che porta spesso alcuni concorrenti a fare carte false pur di arrivare davanti.
Roberto è da sempre amico di Pericle Pavesi dal quale si fece restaurare una OSSA M.A.R. e successivamente costruire una Bianchi con la quale ha partecipato a parecchie gare.
Lo scorso anno Roberto è venuto a trovarmi chiedendomi di preparargli una OSSA per le gare d’epoca, logicamente mi ha trovato entusiasta, e subito abbiamo fatto una serie di considerazioni in base alle quali si è deciso di partire con il progetto “PATANEGRA“ovvero una OSSA da me reinterpretata con utilizzo degli stessi materiali e utilizzando le medesime tecniche di lavorazione che venivano utilizzati all’epoca, ma con idee mie.
Conoscendo bene i vari modelli Ossa sapevo bene come la T80 fosse molto ben messa a livello sospensioni, ma piuttosto delicata nel telaio, inoltre la impostazione del baricentro era a mio avviso troppo alta a discapito della stabilità e della maneggevolezza.
Quindi ho messo giù un disegno con le modifiche da apportare e ho potuto verificare che unendo la parte posteriore della T80 alla parte anteriore della M.A.R. si poteva ottenere una struttura meglio dimensionata, con il motore più inclinato in avanti ed il telaio più rigido. >>> Telaio Pata <<<
Detto fatto, mi sono messo all’opera e di due telai da rottamare ne ho fatto uno come dicevo io, ben consapevole del fatto che il mio lavoro era solo all’inizio, sì perché da questo punto in poi tutto era da ricostruire, dallo scarico alla cassa filtro, al silenziatore, alle ruote alle forcelle etc
Il motore è stato ricavato da un modello 350 (77×65=302,68cc)del 1976 al quale è stata sostituita la camicia con l’aggiunta di due travasi alimentati attraverso due fori praticati nel pistone e la diversa conformazione della luce di scarico.
Anche la testa è stata modificata e, pur mantenendo invariato il rapporto di compressione, si è creata una corona di squish a 0,2 mm di distanza dalla testa del pistone, cosa che è sembrata sacrilega a molti, ma che invece ha la sua bella importanza nella resa complessiva di questo motore. Per questi interventi non ho potuto fare tutto in casa e per alcune lavorazioni di precisione mi sono avvalso della collaborazione dell’officina di rettifica NEGRINI che come al solito mi ha dato piena disponibilità.
Lo scarico è stato realizzato da OLISALD in due pezzi per consentirne il montaggio, nelle misure risultanti dal calcolo effettuato secondo il sistema Bossaglia ed è stato predisposto, in corrispondenza dello spillo di uscita, di un alloggiamento per l’inserimento a titolo sperimentale di ugelli di varie misure per l’accordatura secondo il sistema De Laval . (Anche se lavoriamo su moto non più attuali mi sembra giusto approfittarne per tenerci al corrente delle evoluzioni della tecnica)

Per il resto ho montato un carburatore Dell’Orto da 28mm e realizzato una cassa filtro di circa 2 litri di volume in PVC saldato a freddo con filtro in spugna sintetica, silenziatore OLISALD a sezione semicircolare con labirinto in entrata e lana di vetro nella parte posteriore; il comando della frizione è stato modificato con riduzione dello sforzo di trazione al 50%!!!
Alla forcella Betor sono stati sostituiti gli steli ed il sistema ammortizzante con quelli della Garelli: molle corte e più caricate con distanziali da 120mm garantiscono una risposta più progressiva ed un minor peso.
Ammortizzatori GAZI, freni e cerchi in alluminio a bordo alto mi sono stati forniti dal Pavesi, che ora si occupa della diffusione di questi accessori, che tra l’altro nel ns. caso specifico hanno avuto un comportamento più che ottimo. I cerchi sono stati anodizzati in nero e trattati con il sistema BARTubeless a tenuta stagna che consente il montaggio degli pneumatici Tubeless sia all’anteriore che al posteriore.
Le finiture estetiche non sto a raccontarle, si vedono bene nelle foto, penso di aver detto tutte le cose importanti della PATANEGRA… anzi no…una cosa me la stavo dimenticando… la moto è piaciuta a tutti e va molto bene, Inzoli ne è entusiasta, l’ha già portata all’estero in occasione di importanti competizioni d’epoca dove ha avuto apprezzamenti anche da parte di molti intenditori ed ex piloti OSSA. Nella mia presunzione sono sicuro che sia la Ossa da trial più performante a livello assoluto mai realizzata(a parte la nuova Tr280i),…. ma aspetto di sentirlo dire dagli altri, è più appagante.

Per quei pochi che non ne sono al corrente PATANEGRA è il nome di una razza suina autoctona della Spagna, i famosi maiali dalle zampe nere che vengono allevati allo stato brado e si nutruno in prevalenza di ghiande. Il prosciutto che viene prodotto rappresenta l’eccellenza a livello mondiale, si lo so per gli animalisti non è bello, ma perlomeno questi la vita la passano liberi nei boschi di querce, come fossero cinghiali.

OSSA M.A.R.250 Mk2

Voglio raccontarVi di un restauro che mi ha dato grandi soddisfazione e che sono orgoglioso di aver esguito: la Ossa M.A.R. 250 Mk2 di Mario Casati di Cremeno in Valsassina.
La moto era stata acquistata dal padre e quando questi è venuto a mancare è finita in mano ai figli che se la sono passati di mano l’un l’altro e, come di solito succede, non se ne sono mai presi molta cura, salvo personalizzarne l’estetica….alla fine è rimasta abbandonata all’aperto per anni, tanto che si presentava molto arrugginita e ossidata nelle parti in alluminio, ma si vedeva dalla corona e dalle gomme (montava ancora i Pirelli MT13 originali) che non aveva fatto molti kilometri. Alla fine uno dei figli, per l’appunto il Mario, appassionatissimo di cose antiche, ha deciso di restaurarla e mi ha interpellato tramite il Teto (Fulvio Adamoli). E’ stato proprio il Teto che me l’ha portata, mi conosce da quando correva e ci incontriamo sempre a Novegro, aveva già potuto vedere molte mie realizzazioni, e si è fidato pienamente.
Alcune parti in alluminio erano talmente intaccate dall’ossido che non potevano più garantire la sicurezza, così si è dovuto sostituire il cerchio anteriore, sempre per via dell’ossido i ferodi si erano scollati dai ceppi dei freni, il telaio prima della verniciatura è stato in molte parti smerigliato per togliere le tracce di ruggine profonda, dopodichè la verniciatura effettuata a polvere come era in origine gli ha ridato il vecchio splendore. Tutte le bullonerie sono state smerigliate e zincate (o cromate), particolari in gomma, sella, parafanghi, leve, catena, pneumatici sostituiti, manubrio rifatto come l’originale con l’aiuto del Claudio Moioli di Lierna perchè era troppo corroso per poter pensare di recuperarlo senza comprometterne la resistenza, riverniciatura delle parti in vetroresina con decorazione verde e oro e copertura finale con trasparente Alto Solido. Trattamento interno del serbatoio con Tankerite-Gum (con la vetroresina è d’obbligo).
Ormai queste moto le conosco molto bene, ma quando le ricostruisco non manco mai di consultare i disegni esplosi e le foto originali ricavate dalle pubblicità e dalle prove effettuate all’epoca dalle riviste specializzate,… non mi fido mai delle foto che appaiono sulle riviste di oggi dove è consuetudine far passare per pienamente attendibili restauri eseguiti senza la necessaria precisione….guarda come era quando è stata realizzata, ma fallo sui documenti contemporanei alla messa in vendita, e non puoi sbagliare! E’ a questo scopo che ho speso una fortuna per crearmi una collezione di riviste straniere dove sono riportate le prove delle moto alle quali sono interessato, e ora le trovo utilissime, un vero e proprio punto di riferimento.
Bisogna fare molta attenzione ad acquistare ricambi per le moto spagnole perchè spesso si trovano in vendita pezzi aftermarket replicati che non hanno nulla a che vedere con i pezzi originali, a volte vanno bene lo stesso per usare la moto, ma certamente non vanno bene a chi la moto la vuole restaurare. Negli anni ’70, come succedeva anche in Italia per le marche italiane, si era sviluppato un mercato parallelo e si realizzavano molte parti di ricambio compatibili, spesso differenti nella foggia (a volte anche più performanti) ma chiaramente non originali, ed oggi non possono essere spacciate per tali, possono tutt’al più essere utilizzate nelle competizioni d’epoca per salvaguardare le moto e migliorarne le prestazioni. Nello stesso modo bisogna riconoscere che tanti artigiani in Spagna hanno replicato ad un ottimo livello parti non più reperibili sul mercato, così per esempio i complessi di scarico sono stati rifatti molto bene, allo stesso livello sono i parafanghi in alluminio di ottima fattura ed identici nella forma.?
Se vogliamo ottenere un restauro al massimo livello non dobbiamo perdere di vista il fatto che spesso basta un adesivo applicato un centimetro spostato rispetto alla sua posizione originale per vanificare ore ed ore di impegnativo lavoro e diminuire drasticamente il valore del mezzo, i particolari non devono mai essere trascurarti….gli operai che provvedevano al montaggio non improvvisavano ed ogni pezzo veniva assemblato con identici movimenti, il bello del restauro sta proprio nel cercare di entrare nella testa di chi aveva montato i pezzi all’epoca e ripetere quei gesti con precisione, senza nulla trascurare, altrimenti sarebbe…troppo facile…(il pressapochismo è il peggior nemico di chi vuole recuperare un vecchio oggetto).

JAKE: una Ossa E’73 da battaglia

Negli ultimi anni alcuni appassionati preparatori si sono impegnati nella elaborazione della Ossa E’73 per le gare di regolatità per moto d’epoca, ho seguito l’evoluzione dei loro interventi e, dissentendo per molti versi dalle loro idee, ho deciso di mettermi in gioco in questo specifico campo.
Innanzitutto ho analizzato la moto e, considerando che il motore a mio avviso non ha bisogno di radicali modifiche se non una messa a punto che gli consenta di avere oltre all’ottima erogazione ai bassi e medi regimi che già dimostra, anche un maggiore allungo, ho deciso di intervenire a fondo sulla ciclistica.
Il telaio di questa moto è particolarmente pesante e soprattutto è impostato in modo tale che il motore risulta esageratamente avanzato, a evidente discapito della guidabilità: questa moto è sempre stata considerata un vero mulo, ma ha sempre avuto problemi di maneggevolezza.
Questa caratteristica risulta evidente se si analizza attentamente la disposizione dei pesi sulle due ruote: il motore così avanzato appesantisce la guida rendendo particolarmente impegnativo ogni cambio di direzione.
Queste considerazioni mi hanno convinto ad intervenire soprattutto sul telaio per modificarne le caratteristiche e alleggerire la guida di questa moto, perciò ho messo giù un progetto dove la parte centrale del telaio è stata arretrata di 25mm ed il perno del forcellone è stato avanzato di altri 30mm e abbassato di 10 : totale 55mm di arretramento del motore che è stato pure inclinato in avanti di 20mm. in questo modo si è ottenuto un abbassamento del baricentro ed il motore è ora più prossimo alle pedane quindi molto più gestibile negli spostamenti di peso. Logicamente il telaio è stato allungato sul davanti per mantenere l’interasse e una inclinazione del cannotto di sterzo di 30°.
In effetti sembra molto complicato, ma in effetti è esattamente quello che avrebbero potuto e dovuto fare all’epoca i tecnici della Ossa per rendere la moto più competitiva …lo fecero solo successivamente con il modello Super Pioneer, la cui impostazione telaistica è molto simile a quella di JAKE, ma forse erano ancora in ritardo, perchè la concorrenza nel frattempo non era rimasta con le mani in mano.
Dopo aver impostato il telaio ho deciso per il momento di montare il cilindro di una Desert Phantom, leggermente più spinto e con alettatura maggiorata, con un carburatore Bing da 38mm e quindi dovuto necessariamente adeguare anche gli altri elementi della moto: cassa filtro, espansione,gruppo sella/paragango posteriore.
Ne è uscita una moto esteticamente molto ben bilanciata (anticipo una foto scattata in fase di costruzione), ora devo terminare molti particolari dopodichè Vi farò avere altre notizie.
Purtroppo sono molto impegnato e non posso anticiparVi la data del debutto, presumo sarà in occasione di una gara di regolarità Gruppo5 dove non mancherò di sottoporla all’esame di chi ha saputo tante volte vincere con le Ossa da Enduro come Armanni, per verificare dai loro commenti la concretezza delle mie scelte,
a presto

OSSA 125 ENDURO PHANTOM ’74 per Llorenc

La OSSA realizzò anche dei modelli da 125cc per il fuoristrada: esattamente la ENDURO PHANTON e la PHANTOM125. Le moto avevano i telai identici alle corrispondenti 250cc (SUPERPIONEER e PHANTOM 250) e ne seguirono l’evoluzione con piccole modifiche di anno in anno, così nel 1975 si montarono  il carburatore Bing e gli ammortizzatori più inclinati.       La moto da cross aveva lo scarico basso, nel 1976  ne fu approntato un modello con lo scarico alto definito dagli spagnoli bufanda (che significa sciarpa) e sospensioni di maggior escursione identiche alla 250cc, ma rimase praticamente allo stato di prototipo (le poche unità realizzate finirono negli Stati Uniti dove ritengo che dall’importatore furono date in mano ai piloti ufficiali ), mentre veniva proseguita la produzione del vecchio modello.  sia i modelli da cross che quelli da enduro furono realizzate anche nella cilindrata di 175cc che aveva un buon mercato negli UU.SS. dove veniva esportata la maggior parte della produzione.        In Italia arrivarono alcune Enduro Phantom e pochissime unità da cross a differenza che in Francia dove questi modelli furono più diffusi.             Il motore era derivato dal 250, nel carter pompa del quale venivano inseriti degli spessori anulari per diminuirne il volume, questo era un evidente ripiego per evitare di realizzare  nuovi stampi ed effettuare apposite fusioni, d’altro canto i volani interni erano necessariamente troppo piccoli rispetto a quelli della 250 ed un rimedio bisognava escogitarlo. Intendiamoci il sistema non era da disprezzare, semplicemente quello che mi sento di criticare è il modo poco preciso con il quale erano effettuati i montaggi e le lavorazioni di accoppiamento, per questo motivo i motori utilizzati a livello agonistico rivelavano spesso limiti di tenuta. Erano moto molto belle esteticamente ed ebbero un discreto successo di vendite, ma agonisticamente non ebbero mai risultati eclatanti.

Io ho avuto modo di restaurare una Enduro Phantom per l’amico Llorenc, un collezionista spagnolo,  ora gli sto preparando una Phantom modello ’76 della quale Vi parlo nel prossimo articolo.